
Era il 1930 e il mondo sembrava essersi spezzato.
Non con una guerra, né con fuoco e ferro. Ma con la fame. Con il silenzio delle fabbriche vuote e il rumore sordo delle code interminabili agli sportelli della miseria.
Là, tra i grattacieli ciechi di New York, uomini e donne si muovevano come spettri, vittime di una promessa infranta chiamata “sogno americano”.
La Grande Depressione non era solo economica. Era spirituale. Un morbo che si era diffuso nel cuore della nazione.
Poi arrivò lui.
Franklin Delano Roosevelt. Con parole scolpite nella pietra e nel bisogno: “L’unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa.”
Un eroe? O solo un altro illusionista nella lunga fiera dell’inganno?
Il New Deal era il suo incantesimo.
Un patto con il popolo, ma anche con i demoni della burocrazia e del potere.
Lavori pubblici. Assistenza. Regolamentazioni.
Una macchina immensa, costruita per ridare speranza. Ma ogni macchina ha un prezzo. E ogni patto, una clausola nascosta.
Gli uomini tornavano a lavorare. I campi tornavano a germogliare. Ma sotto la superficie… qualcosa ancora marciva.
I più ricchi tremavano. I più poveri s’illudevano. E l’America, per un attimo, sembrava poter risorgere.
Ma io l’ho visto, dietro quel sorriso rassicurante: il volto della necessità.
Roosevelt non era un salvatore. Era un uomo disperato in tempi disperati.
E come ogni eroe in questo mondo malato… anche lui aveva le mani sporche.
Così gli anni ’30 si chiusero non con una rinascita… ma con una nuova attesa.
Perché le ombre non si cancellano. Si spostano solo un po’ più in là.
E il vero prezzo del New Deal?
Lo avrebbe pagato il mondo intero, qualche anno dopo…
con le bombe, con i lager, con la guerra.